25 aprile 1945-2015 La liberazione, un'esigenza di riscatto nazionale Il settantesimo anniversario della Liberazione non poteva non avere un tono solenne. Si sente il giusto desiderio di lasciarsi le tante polemiche degli ultimi anni alle spalle. Le televisioni nazionali ci hanno riproposto la filmografia classica, da “Mussolini ultimo atto” ad “Achtung banditi”, all’emozionante “Generale della Rovere”, di Roberto Rossellini, tutto il neorealismo antifascista nazionale. Al massimo si è trasmesso un più recente e velatamente inquietante “il partigiano Johnny”, tratto dal capolavoro di Fenoglio. Non vedremo il film “Porzus”, sul massacro della brigata partigiana Osoppo condotta per mano dei partigiani titini. Né ci saranno considerazioni su medaglie d’oro assegnate a casaccio. È bastato e avanzato l’incidente del riconoscimento alla memoria di Paride Mori, ufficiale del Battaglione Mussolini. I quotidiani, da parte loro si attengono al classico, “La Repubblica” riproduce i libri sulla resistenza di Giorgio Bocca, “la Stampa” un inedito di Bobbio, sorvolando il passato fascista di entrambi. Il “Corriere della sera” per evitare imbarazzi, ha celebrato l’ultimo libro di Aldo Cazzullo, secondo cui la Resistenza ci unisce tutti e tanti saluti. Mettiamo da parte le polemiche inutili, i saggi best seller di Pansa, le rivelazioni di Luzzatto sulla banda del Col di Joux a cui si unì e subito si dissociò Primo Levi. Siamo d’accordo: in un momento come questo serve tessere la trama di un riscatto nazionale e non perdersi dietro gli incidenti di percorso. Guardando al passato la stessa rivoluzione francese ne commise di ben più tragici e pure l’abbattimento dell’Ancien Règime, l’ingresso in una nuova epoca, meritava un tributo di sangue. Così come la storia dell’umanità sentiva il bisogno di superare l’assolutismo, altrettanto necessitava di lasciarsi alle spalle il fascismo europeo e questo è il punto fermo che bisogna mantenere. La nostra unica riserva, più morale che politica è quella di non volerci ridurre alla retorica in occasioni come questa. La retorica non fa capire le cose, rischia solo di spingerci indietro. Dovessimo allora proporre un testo per ricostruire la vicenda della Resistenza sceglieremmo quello di Claudio Pavone dell’ormai lontano 1991, che pure fece scandalo ma mantenne intatta la sobrietà dell’analisi e una fondamentale correttezza nella riflessione. Combattemmo una guerra civile dolorosissima a volte commettendo degli errori tragici e pure dovevamo combattere, se non altro per riscattare una lunga compiacenza nei confronti del fascismo, una compiacenza ben più ampia di quanto si sarebbe poi voluta far credere, tale da invischiare personalità il cui comportamento democratico negli anni a venire si è mostrato specchiato. I repubblicani sono coloro che meglio possono ricordare, perché mai hanno identificato il fascismo con gli interessi del capitalismo e la resistenza con la lotta del proletariato. Così come sotto il profilo ideologico non hanno mai pensato che il pensiero di Mazzini fosse un precursore del fascismo, piuttosto che essere manipolato a posteriori. Il fascismo svolse la principale parte della sua avventura sotto la monarchia e per questa ragione repubblicani ed azionisti ritennero la questione istituzionale prioritaria, quando Badoglio, Croce e Togliatti la ritenevano sussidiaria. Non fu la monarchia con le sue trame a far cadere Mussolini, fu la guerra e la guerra la combatterono principalmente gli anglo americani. Solo quando fu chiaro che questa era persa, la monarchia si mosse ed il fascismo allora si disfò come neve al sole. Siamo riconoscenti a tutti coloro che ad un dato momento presero le armi, pur sapendo che l’antifascismo era proprio di una minoranza estrema non solo in Italia, ma nell’intera Europa. Non abbiamo mai scelto di ignorare che nel 1939 il comunismo sovietico diede un lasciapassare tragico alle armate del Terzo Reich, che le truppe naziste entrarono a Parigi con il plauso del comunista “l’Humanitè”. Anche l’Inghilterra con Cahmbelraine, diede un credito ad Hitler e la stessa Francia avrebbe potuto rovesciare il governo nazista con un solo reggimento di cavalleria nel 1936, o sfondando facilmente le linee tedesche quando quello marciò contro la giovane ed indifesa repubblica Cecoslovacca. Il successo del nazifascismo fu un tragico errore dell’insieme dei paesi europei a cui pose rimedio il governo Churchill e la prova di forza degli Stati Uniti d’America. Per questa ragione abbiamo sempre avuto una certa insofferenza per la tesi, secondo la quale, la democrazia non si importa sulla punta delle baionette. Argomento valido quando si parlava delle armate rivoluzionarie francesi del 1792, ma fallace quando Gran Bretagna ed America si muovono contro Hitler e Mussolini nel 1942. Senza questo contributo armato, non ci sarebbe stata né una Resistenza, né una liberazione da festeggiare il 25 aprile. Da qui si comprende il nostro legame profondo con l’Inghilterra e l’America. Se fossimo finiti sotto le bande partigiane legate a Mosca, ci saremmo ritrovati immediatamente schiacciati da un’altra dittatura non meno feroce di quella che si era appena abbattuta. Roma, 24 Aprile 2015 |